Recupero Castello e Parco di Maredolce

I luoghi della fascinazione

Ogni volta che si parla di Maredolce si adombra un luogo di estrema fascinazione riferendosi a ciò che scrissero i cronisti arabi e normanni e, spesso, si riferisce acriticamente quel sogno, quella rappresentazione onirica, ai tempi attuali come se qualche potatura o l’acquisizione di quei luoghi, in tutto o in parte, potessero fare rivivere una realtà di c.a 1.000 anni addietro.

Al di là della dimensione onirica la realtà è un po’ più complessa e con “ottimismo della volontà” si può ben fare riferimento a quel mitico periodo e sognare un ripristino dei luoghi. Per entrare nell’auspicata dimensione onirica, p.e illustrata da Enzo Patti nel suo manifesto per Maredolce, occorre però stabilire preliminarmente alcuni punti fermi.

Il primo punto è quello che un luogo simile deve essere iscritto e riconosciuto nel patrimonio culturale di tutta la comunità insediata. In altre parole la comunità di maredolce-Brancaccio si deve riconoscere nel “parco” e considerarlo come proprio patrimonio inalienabile.

Il secondo punto è che, malgrado una certa cultura dominante in Italia che vede nel bene culturale-ambientale una proprietà esclusiva di alcune parti dei ceti dominanti, il complesso che si vuole salvaguardare, deve effettivamente essere fruibile dalla comunità insediata nel rispetto di quelle condizioni minime che ne impediscano il danneggiamento (numero dei visitatori, attività permesse, ecc.).

Il terzo punto è che devono essere privilegiate nella fruizione le componenti deboli del complesso sociale: madri e bambini, anziani, disabili.

Il quarto punto è che le attività permesse devono essere viste in funzione delle necessità delle fasce deboli della popolazione ed al fine della loro promozione culturale e sociale.

Ciò premesso si può ,parlare della dimensione “onirica” considerando che noi, rozzi epigoni di altre culture, sappiamo ben poco di Maredolce e della sua storia millenaria a parte la conoscenza, a volte superficiale, delle descrizioni letterarie ed entusiastiche dei poeti e viaggiatori di cultura araba. Le esemplificazioni giornalistiche sull’arancio, sul manderino su coltivazioni erbacee di vario tipo sono solo scorciatoie che sul filo di una facile approvazione o consenso non apportano alcun contributo alla conoscenza dì un mondo scomparso né a quella del mondo onirico che si vorrebbe ricreare. Infatti sono originate sia dalla naturale “memoria corta” dell’uomo sia da quell’ “horror vacui” che caratterizza alcuni momenti culturali umani come il “rococò” o il salotto piccolo borghese di gozzoniana memoria.

La conoscenza dell’ambiente-indagine sui degradi

Il punto di partenza è, purtroppo, la situazione reale di oggi: occupazioni abusive di parti demaniali, una spaventosa discarica abusiva tra la bretella autostradale e monte Grifone. Discarica che le Autorità costituite (nessuno escluso) hanno preferito ignorare e non combattere.

Distruzione del bene demaniale della vasca di raccolta e del canale di emissione.

Un complesso di case e palazzi, di cui una parte sicuramente abusive, che circondano il complesso ed in alcuni casi lo hanno “morso”.

Gli interventi “allegri” riguardanti la viabilità e le condotte idriche del serbatoio “Scillato” realizzati in area vincolata senza alcuna autorizzazione in nome di una malintesa “pubblica utilità” che non deve e non può significare “libero arbitrio” perché tale scelta comporta il conseguente e naturale “disprezzo per le Leggi” da parte della comunità insediata.

Cominciando da monte i problemi da risolvere sono: le pendici del monte Grifone con le ferite inferte dalle cave di materiale calcareo a sud e a nord del “naso della gran montagna” compreso l’abbattimento della piccola borgata storica della “pasciuta” inclusa oggi nell’area di un cantiere di calcestruzzo da ripensare e bonificare. Al centro è la grotta dei giganti il cui pianoro panoramico antistante è in gran parte costituito dalla discarica selvaggia che sommerse san Ciro negli anni 80.

La grande discarica che ha ricoperto l’area demaniale del bacino di raccolta delle acque, le aree limitrofe con le macchine per il sollevamento delle acque.

Distrutto il vivaio delle anguille che da secoli era ivi ospitato. Tale discarica , oggi, è più alta (mt.3-4) dell’antica via Ciaculli che, nei primi del novecento/fine ottocento fu sopraelevata sul suo sedime originario.

Inutile dire che in tale area vengono a ripulirsi le betoniere locali.

La bretella autostradale con l’adiacente nuova via Ciaculli realizzata su piloni e di cui si piangono, oltre l’impatto ambientale e paesistico, anche le conseguenze del selvaggio inquinamento causato dalle prime piogge.

La canalizzazione abusiva dell’emissione del serbatoio Scillato realizzata dal comune di Palermo.

La cortina di edilizia più o meno povera, più o meno abusiva, sorta nel passato secolo-dal palazzo reale proseguendo in direzione ovest (monte Grifone) -sul margine del bacino lacustre. Con volumetrie, sporti ed aperture non sempre compatibili con le Leggi esistenti e con il vincolo monumentale preesistente.

La villa cosiddetta “Contorno” sorta abusivamente nel centro del bacino ed a ridosso del canale demaniale (2° abusivismo ) su cui non risultano ad oggi provvedimenti di demolizione.

La discarica realizzata intorno la villa abusiva e fatta passare come bonifica agricola-ambientale”.

La cortina di case sorta sopra l’”argine rosso” a partire dall’antico “laconico” trasformato in residenza (1895 c.a), con demolizione selvaggia in alcuni casi dello stesso argine in pietra squadrata quando lo stesso era già vincolato.

La trasformazione del canale di scolmo del bacino (1150 c.a) in canale fognario con recapito delle case soprastanti. Nel sec. XIX il canale – come è dimostrato dal rozzo approfondimento – fu abbassato per raccogliere le acque della palude e convogliarle al di fuori dell’antico perimetro lacustre.

Apertura di finestre e balconi con aggetti sul bacino lacustre subito dopo le prime acquisizioni al Demanio.

Occupazione di parti del giardino acquisito al Demanio (lato est) da parte dei proprietari delle case limitrofe con apertura di porte e finestre e recinzione delle parti illegalmente, abusivamente, occupate.

Realizzazione di una casa abusiva, dentro il lago, (zona della “darsena”)con contiguità ad altra casa e demolizione dell’argine rosso in pietra squadrata. Non risultano ordinanze di demolizione.

Cortine di case lungo la via Conte Federico con volumetrie incompatibili con il rispetto ambientale del complesso normanno.

Questi problemi vanno risolti anzitutto imponendo la presenza dello Stato e richiedendo una seria indagine da parte di Prefettura e Corte dei Conti sia sul danno erariale sia sull’insufficiente intervento delle forze dell’Ordine, della magistratura, degli enti proprietari, ecc.

Idee per un piano d’intervento

Dopo questa schematica enunciazione di alcuni dei principali problemi si può cercare di ipotizzare un piano d’intervento che tenga conto della situazione ambientale finalizzato alla ricomposizione e restauro di quanto rimane e per raggiungere quella dimensione onirica di cui si è già parlato e che costituisce la base per qualsiasi progettazione specifica del recupero non della forma geometrica ma dello spirito dei giardini per come ce li hanno descritti gli scrittori di cultura musulmana, e non solo, dal Marocco alla Persia o Iran.

Il primo elemento da raggiungere è l’isolamento ambientale: sia come fatto culturale che come necessità biologica della vita del parco e della fruizione. L’isolamento è garantito sul lato ovest dal monte Grifone e sul lato sud dai residui manderineti di “Conte Federico”. L’impatto con la linea autostradale (esistente) deve essere considerato (non potendola eliminare) come un’ ulteriore opportunità da gestire con correttezza ambientale per la fruizione del parco stesso. Più complesso è il lato nord dove si accumulano non solo caseggiati di dubbia legittimità ma altresì la spaventosa discarica c.a 10/15 metri di altezza sul sedime lacustre che ha alterato i luoghi distruggendo il bacino demaniale di raccolta delle acque, alterando il regime idraulico del territorio e alterando la fruizione del lago per come prevista in antico e per come è testimoniato con disegni anche da Vincenzo Auria (1680 c.a). Anche in questo caso sia nella logica del risparmio ambientale, sia per economia dei costi, sia per la migliore fruizione dei luoghi e per raggiungere quell’ isolamento necessario alla dimensione onirica, non si deve e non si può parlare di una fantasiosa economicamente ed ambientalmente impossibile dismissione della discarica ma di una sua rimodellazione che garantisca gli aspetti visibilistici del “belvedere” o archi di san Ciro ( da e verso), il recupero del bacino demaniale con gli evidenti interessi idraulici ed archeologici del

sedime e l’isolamento dalla selvaggia urbanizzazione adiacente. Per l’eventuale materiale in esubero se ne potrà discutere in successione pensando anche alla riqualificazione della discarica di Bellolampo.

Concettualmente più complessa la situazione nel comparto nord est: cioè sotto il palazzo reale. Ivi infatti l’abusivismo edilizio ha raggiunto i maggiori vertici con la demolizione di parti dell’argine/diga in pietra squadrata (monoliti di oltre mt.1 di lunghezza) e con l’apertura di finestre e balconi sul Demanio.

Dando per scontato l’intervento delle Autorità per la repressione di tale fenomeno (in particolare si ricorda la necessità dell’immediata demolizione di quanto costruito abusivamente dentro il bacino (part.2234-2233, ecc.) con la demolizione del manufatto vincolato: appare ininfluente che il punto di riferimento sia una famiglia mafiosa di notevole spessore anche se a volte “collaborante”. Deve essere segnalata, anche in questo caso, l’evidente “disinteresse” delle autorità preposte al controllo del territorio.

Il problema che si pone (per il progetto di restauro e fruizione) è quello del mantenimento della configurazione urbana del tardo ottocento ed il ripristino del perimetro costruito del bacino lacustre. È evidente che quanto costruito sopra l’argine, o con demolizione dello stesso, vada obbligatoriamente demolito per una profondità di c.a 5 mt. Dimensione compatibile con lo spessore strutturale del manufatto normanno e come peraltro si può ancora leggere nelle planimetrie catastali dove le riseghe delle differenti U.I. attestano l’ampliamento edilizio sull’argine e nelle pertinenze. Rimarrebbe quindi – a demolizione avvenuta – una leggera cortina edilizia, di uso anche residenziale, con prospetto sulla piazzetta a testimoniare lo sviluppo urbano del tardo ottocento/primi novecento (lavatoio pubblico) e risulterebbe salvaguardato anche il limite del lago già vincolato all’inizio del novecento.

La fronte sul lago resa rigorosamente priva di aperture andrebbe schermata con le tecniche del giardinaggio ambientale secondo le migliori tradizioni inglesi e similari.

Differente è il caso della cortina est costituita esclusivamente da edilizia moderna pluripiani. Questa edilizia è stata interessata anche da un degradante abusivismo che ha portato all’apertura di porte e finestre sull’area demaniale con appropriazione e recinzione di porzioni, di varia ampiezza, dell’area stessa. Fermo restando che il Demanio deve essere immediatamente reintegrato e che le servitù abusive devono essere eliminate,occorre procedere in due differenti modi:

  1. la verifica della legittimità urbanistica ed edilizia dell’esistente
  2. 2. la schermatura dell’edilizia con i sistemi consolidati dell’arte dei giardini adoperando essenze di veloce crescita, autoctone e che abbiano caratteristiche conformi alla rappresentazione onirica anche in consociazione

Il lato sud presenta minori problemi in quanto è ancora difeso dall’agrumeto / mandarineto di Conte Federico. Occorre risolvere però la rottura (già avvenuta alla fine del settecento) dell’ argine per cui erroneamente si identifica il limite idraulico del bacino lungo la via san ciro o via …. quando invece a partire dalle particelle 1343/1700 esso è all’ interno della particella 789.

Tecnicamente può dirsi che gli argini abbiano una larghezza d’impianto tra i 5 metri ed i m. 3,50. Questa è la dimensione minima cui occorre fare riferimento per la loro concreta individuazione e tutela

Oggi è incerto il futuro urbanistico del manderineto di Conte Federico: è quindi opportuno prevedere una schermatura verde che sia sufficiente a rendere poco visibile qualsiasi danno ambientale perpetrato. Quindi occorre prevedere una fascia di almeno 50 metri oltre gli argini destinata al mantenimento della coltura secondo le indicazioni che vorranno dare sia l’Università di Palermo sia l’apposita sezione dell’ Assessorato. Un’area devoluta sia alla rappresentazione e conservazione dello storico manderineto industriale di Ciaculli, sia sufficientemente ampia per gli eventuali studi per il miglioramento agronomico ed organolettico della specie

La costruzione del “sogno”

Determinati i confini fisici del territorio ed avendo ben chiaro che il parco originario aveva ben altre dimensioni: perché era compreso tra santa Maria di Gesù, il fiume oreto /abbas e Gibilrossa estendendosi probabilmente anche al feudo di Rebuttone possiamo passare alla costruzione del sogno tramite la preventiva identificazione delle funzioni. Elemento quest’ultimo fondamentale perché da esse dipende il futuro del parco.

La prima funzione è quella della fruizione pubblica nei limiti imposti dalla tutela e dalla conservazione in altre parole non sono ammesse fruizioni che alterino l’equilibrio “naturalistico” del complesso e l’uso è permesso sotto il limite dell’ “usura”.

La fruizione pubblica

I punti di vista la percezione del parco. La percezione del parco del “sogno di Maredolce avviene prevalentemente dall’interno secondo percorsi di varia natura che modulano il paesaggio dall’immensità della montagna a quella del lago, alle aree bonificate e piantumate. Esistono già oggi punti e percorsi che servono ad illustrare tali possibilità paesistiche quale, dall’interno, il percorso sul perimetro del grande ricettacolo idrico (gebbia) che apre la vista sul monte Grifone, pizzo Sferrovecchio, la chiesa detta di “san Ciro”. Non ha lo stesso fascino la vista all’inverso per la presenza, più che dell’autostrada, delle barriere di protezione. Ma già salendo sul sagrato della chiesa e ancora meglio sui terrazzamenti della cava sud, sul terrapieno della grotta dei giganti, nelle grotticelle ed ancora meglio a “borgo Paradiso” la visione cambia radicalmente anche se non avrà mai il fascino della vista della ‘ montagna immanente. Altro discorso sarà quello, derivato dalle correnti “moderniste” e dalla vecchia Legge per la protezione ambientale (1497/39) dove è fatto esplicito riferimento al “movimento” del viaggiatore per meglio potere apprezzare le bellezze paesistiche secondo diverse angolazioni e punti di vista. Quindi occorre la capacità di trasformare un banale attraversamento in un atto progettuale che mostri il parco anche e principalmente nel punto fondamentale della sua nascita: l’acqua e la sua capacità paesistica.

Diventerà punto dirimente della progettazione il problema degli accessi dove risulta evidente la necessità di utilizzare per il movimento pedonale la via vicinale che collega via Conte Federico con san Ciro e che dovrà essere riprogettata non solo per gli adeguamenti necessari ma anche per riportare l’ultimo tratto nella sua sede originaria sopra l’estradosso dell’argine. Tutto ciò sempre nel rispetto dell’estradosso della struttura originaria (argini).

Le antiche cave, nel cui sedime occorre ricordare esistono importanti sedimi del paleolitico (Scaletta ed altri) non soltanto saranno luoghi privilegiati dal punto di vista panoramico, ma opportunamente bonificate ed arredate naturalisticamente potranno assumere diversi compiti dal parcheggio bus alla cavea per spettacoli estivi. Dal punto di vista urbanistico occorrerà assolutamente evitare che il movimento veicolare turistico e similare privato penetri selvaggiamente nel quartiere.

Determinate queste linee generali si può pensare alla fruizione diretta. Si premette che si propone il recupero di Maredolce nella convinzione che il manufatto normanno può essere salvaguardato e compreso solo ripristinando la continuità tra Montagna, sorgenti, bacino lacustre e palazzo con le sue dipendenze. Eliminare l’acqua, il suo uso ed il suo godimento, significa solo realizzare un “vulnus” che rende incomprensibile il monumento.

L’acqua è il collegamento naturale e inalienabile dell’intero parco: è compito del progetto trovare le forme per cui il ripristino del bacino idraulico possa essere realizzato con queste condizioni:

  • costituire il collegamento naturale tra il palazzo, la montagna ed il belvedere (gli archi)
  • ripristinare il miracolo dei “due mari” costituiti dal vecchio alveo delle acque della Fawarah e dal grande canale realizzato da Ruggero che previde l’incontro delle acque davanti il palazzo.
  • Costituire il collegamento e la divisione tra l’isola ed il palazzo: permettendo l’ingresso nel mondo del sogno (l’isola) con un ponticello che forse, in parte, una volta, era a ribalta.
  • Tecnicamente porsi come esempio utile per il recupero e la redistribuzione delle risorse idriche comprese quelle reflue su cui nel 2019 La Sicilia pagherà una pesantissima multa per inadempienza ambientale.

La fruizione generale, quindi, avrà nel paesaggio, nei percorsi, nell’isola e nell’area bonificata della discarica, nell’area archeologica del belvedere, di san Ciro, della grotta dei giganti, differenti momenti di uso legati alle fasce d’età, alle necessità fisiche e spirituali dei cittadini.

L’isola o il mondo del sogno.

Oggi l’isola è costituita da un frammento di manderineto, uno spiazzo arido di dubbia origine, un grande bacino in muratura (gebbia) dalla cui sommità si gode uno dei più bei paesaggi del complesso, un magazzino con alberature nelle pertinenze che ricordano la descrizione dei giardini /orti di Palermo (vedi Trasselli), macchine per il sollevamento delle acque ed il collegamento con un ingrottato sottostante ancora tutto da conoscere ed esplorare. È nell’isola che, secondo i letterati arabi, si alzavano due palme che tendevano ad abbracciarsi come due amanti. Due palme (phoenix dactyilifera) le cui chiome spiccavano sopra una vegetazione di cui niente sappiamo ma di cui ripensando ad altri giardini (mille e una notte) possiamo ricreare l’atmosfera sulla base delle attuali conoscenze botaniche e sul patrimonio dei giardini della Palermo Liberty del tardo ottocento il cui sviluppo prese corpo con l’esposizione ma era stato preparato a lungo da iniziative e strutture culturali quali, p.e, l’Orto botanico”.

È naturale che il primo impatto con l’isola sia dal palazzo ed il ponticello di attraversamento (già progettato da Sylvana Braida/ D’ondes, nel secondo lotto dei lavori) che costituisce un “invito” deve essere bilanciato da una siepe compatta ed oscura posta lungo i margini dell’isola. Una siepe che nasconda ogni particolare ed ogni vista verso l’interno dell’isola. Siepi compatte, dunque, di alloro, mirto, bosso, viburno, pittosporo: dove eventualmente un ulteriore timido invito sia costituita dalla fioritura invernale (rosso e bianco del viburno) o bianca primaverile del pittosporo.

Niente comunque deve essere visibile di ciò che è all’interno dell’isola ad eccezione delle due palme.

All’interno facendo tesoro delle descrizioni letterarie persiane, di altri paesi di cultura simile ed anche di quelle esposte del nostro Di Giovanni del primo 600 (vedi anche Marinella Giunta e Giuditta Fanelli) nonché delle esperienze inglesi mutuate dai territori orientali e quelle palermitane del grande periodo liberty (villa Witacker a Malfitano, villa Sperlinga, villa Sofia, villa Trabia. Lo “square” o giardino Garibaldi, il giardino all’inglese) è possibile capire gli elementi di fascinazione ed applicarli in chiave moderna secondo le finalità precedentemente stabilite. Si tratta quindi di percorsi e spiazzi caratterizzati da essenze di varie dimensioni che devono avere la caratteristica della fioritura e del profumo: usando quelle caratteristiche delle fioriture e dei profumi da prevedere per l’intero corso di tutte le stagioni: utilizzando quella risorsa del clima unica che si ritrova a Palermo per cui vi si possono ambientare essenze vegetali autoctone di quasi l’intero pianeta.

Una trama fiorita e profumata che è già nella cultura botanica della città che ritrova nei propri giardini aristocratici e borghesi il Calycanthus praecox che fiorisce e profuma a dicembre, il filadelfo (zaghera regina), che caratterizza la tarda primavera, la plumeria dai profumi estivi (pomelia) senza dimenticare le rose da profumo o le salvie esotiche come la “splendens” dalle piccolissime foglie con fiori carminio dal dolcissimo nettare un po’ ” stupefacente”: molto in voga nei vecchi giardini novecenteschi di Palermo così come il gelsomino e il plumbago ed il melograno in omaggio alla bellezza femminile cantata dai poeti persiani. Infine, magari in qualche spazio più aperto, due “cycas” di sesso differente che amoreggiano fruttificando come avviene ancora oggi in un antico giardino della città. Sono solo spunti perché identificazioni e proposte sono quasi infinite. Sistemi vegetali da porre all’interno anche di un reticolo più vasto formato da grandi alberi a foglia tremula quali i tigli, i pioppi, i platani. Una scelta coerente p.e con il quadro di Lojacono utilizzato da “manifesta” dove sono riconoscibili i “pioppi neri”.

L’eventuale uso dello splendido ilex dovrà essere invece estremamente contenuto se non come solitario in quanto il suo sistema fogliare e di chioma non permette una facile movimentazione dell’aria più calda. Questo fatto diviene un elemento di progettazione fondamentale perché date le caratteristiche “meridionali” la ventilazione e la “freschezza” divengono elementi essenziali nella scelta delle essenze. Forse solo a Palermo poteva nascere un libro quale “Fior Fiore” di Antonino Pavone con la consulenza di Manlio Speciale (nuova ipsa2003). Esemplificando ancora si può fare un riferimento al giardino incantato con prevalenza di grandi alberi e di roseti esistente a S. Stefano della Quisquina. Avrà un certo interesse, infine, sia il mantenimento di qualche manderino da usare come “solitario” e quindi riportato al suo sviluppo naturale con chioma a palla ed un altezza di c.a m.5, sia l’impianto di alcuni limoni da utilizzare per la triplice fioritura e per l’intenso profumo della zaghera caratteristica che li distingue dagli altri agrumi. L’uso corretto delle alberature e piantumazioni arbustive porterà velocemente sia all’aumento, in numero e varietà, degli uccelli sia quindi ai rumori della natura che potranno essere variati da fruscio delle acque scorrenti anche per le necessità irrigue.

La discarica e la zona nord ovest

Si è già detto dei problemi ambientali del degrado indotto delle distruzioni operate.

Il progetto di rimodellazione della discarica deve operare per la risoluzione dei degradi esistenti;

  1. Migliorando l’isolamento in linea con il cantiere di calcestruzzo
  2. Recuperando il vecchio bacino demaniale
  3. Reintegrando il diritto di veduta del “belvedere”( archi)

Quest’area opportunamente piantumata potrà divenire un altro polo per la fruizione del parco garantendo un uso, che non sia solo contemplativo o di studio, alla popolazione prevalentemente giovanile: è infatti il luogo dove si può progettare la realizzazione di strutture ambientalmente compatibili per l’utilizzo di preparazione ad attività presportive e motorie anche del bacino lacustre. Infatti è possibile realizzarvi le attività di canottaggio per bambini dando la disponibilità della fascia lacustre a monte (sopra l’isola) e del primo canale ruggeriano cioè quello dietro l’isola che presenta una larghezza di mt.28 ed una lunghezza di oltre 400 m.

Per quanto riguarda le piantumazioni della discarica si può ipotizzare anche un recupero/reimpianto del “dattileto” impiantato, in un’area limitrofa, forse da Federico Staufen e distrutto dagli angioini nelle incursioni post “vespri”.

Infatti il dattileto era nella fascia territoriale che scendeva verso la “Guadagna”. Sarebbe quindi una testimonianza storica da armonizzare più oltre con le pendici della montagna dove vegetavano macchie di Lecci (ilex) poi tagliate nell’epopea dello zucchero.

Sempre in quest’area vanno previsti gli accessi ed i servizi per le attività presportive e sportive del cosiddetto” jogging” realizzando anche percorsi guidati lungo l’intero perimetro lacustre agevolando così un ulteriore uso del bene e, se bene organizzato, anche una fonte di apprendimento.

Si giunge così al grande complesso della montagna di cui si ricorda l’indissolubile legame con la parte a valle. In quest’area sono due grandi danni ambientali da trasformare in opportunità: cioè le due enormi cave da bonificare ed utilizzare con l’obbligo, comunque, di uso delle tecnologie verdi. È da escludere qualsiasi intervento ingegneristico per presunte stabilità dei costoni: sia perché non si ravvisa tale problema sia perché è più semplice e naturale chiudere le aree in presenza di avversità atmosferiche.

Le due cave rappresentano due opportunità “future”. Nell’immediato la chiesa di san Ciro, i giacimenti fossili, le postazioni militari, le grotticelle del neolitico le prime opere di captazione delle acque costituiscono un grande patrimonio turistico culturale ambientale da valorizzare con sentieristica guidata, sistemazione della discarica, apertura dei cannocchiali sul parco ed il palazzo reale. Esistono poi i valori intrinseci cui deve essere data opportuna valorizzazione: da un lato il luogo di culto (nostra Signora di tutte le grazie/san Ciro) dall’altro i reperti fossili e la grotta dei giganti. Quest’ultima spogliata di tutto, affumicata da campeggi e riti satanici, privata delle stalattiti sta lentamente ritornando in vita come attestano le piccole stalattiti in fase di crescita. Sarebbe utile realizzare sia per uso scientifico che didattico e ludico una stazione di illustrazione di questo patrimonio storico con la collaborazione dell’Università e museo Gemmellaro ivi compreso la fondazione di “nostra signora di tutte le grazie” poi san Ciro e le ragioni della sua fondazione ( compresi i riti paganeggianti, vedi ASP, prof Rosalba Mendolia, prof. M.C. Ruggeri Tricoli). Per la parte al chiuso di tali esposizioni , nel progetto di restauro, ne fu predisposta la collocazione nel corpo nord della chiesa: indicazione che si potrebbe mantenere; per la parte all’aperto con realizzazione p.e dell’elefante nano ed altri animali del paleolitico si potrebbe pensare una collocazione nella parte antistante la grotta si verrebbe così a costituire un piccolo parco per differenti fasce di età riguardante l’origine del sito.

Naturalmente la chiesa dovrebbe mantenere le sue naturali funzioni liturgiche.

Davanti la chiesa è la conclusione della stradella perimetrale il bacino lacustre il che rende plausibile la scelta di bkx.x:are il movimento veicolare turistico in quest’area.

Il sagrato della chiesa è tutto da rivedere in relazione alle altezze del sedime stradale da verificare (oggi è innalzato di ml. 1.20 c.a) e la maggiore altezza è utilizzata anche per il passaggio della fognatura.

In definitiva in quest’area, caratterizzata dai volumi di san Ciro, si avrebbe un terzo polo per la fruizione del parco e lo snodo fondamentale per la visita al parco (eventualmente anche in barca).

Vale la pena di ricordare l’importanza del costone verticale della montagna per il ripopolamento ornitologico dell’area umida come già ipotizzato dal WWF di Palermo

Proposta vincolo per il parco archeologico e riserva orientata di Maredolce

L’annosa questione della protezione, tutela e valorizzazione del complesso monumentale di Maredolce presenta un punto debole nella identificazione dell’area che, come negli anni 50/60 del passato secolo (v.p.e. il P.R.G), presenta una variabilità notevole: espressione degli interessi non omogenei applicati sulla quantificazione dell’area. Sembra quindi opportuno ripartire dalla identificazione del complesso per come è storicamente avvenuta e verificarne la validità con le necessarie correzioni-in ampliamento-per assicurare la migliore tutela e fruizione del complesso monumentale nel rispetto delle indicazioni della normativa vigente.

Come è noto i vincoli monumentali di Maredolce sono addirittura anteriori al 1939 e sono imposti sia sul palazzo vero e proprio, sia sugli argini del complesso idraulico o bacino lacustre. In quest’ultimo caso non sembra sia stato fatto un riferimento alle planimetrie catastali. L’anomalia di quest’ultimo vincolo potrebbe forse spiegarsi con la necessità di imporre una tutela che non interferisse con lo sviluppo agricolo (agrumeti) del territorio considerato. Un vincolo, dunque sul solo manufatto architettonico e non sul terreno agricolo da quegli “argini” circoscritto. Quale che sia la spiegazione dell’accaduto, per meglio identificare il vincolo, dati i guasti attuali, abbiamo come riferimento, e sicuramente lo ebbero gli antichi estensori, la planimetria fatta effettuare dal governo borbonico nel 1779 per identificare il complesso (di proprietà della Magione) di cui l’allora Commissione all’antichità diretta dal principe di Torremuzza aveva riconosciuto l’importanza sia pure con un errore di attribuzione: “naumachia” del periodo romano. In questa planimetria è indicato con esattezza l’intero circuito delle mura degli argini: anche per le parti settentrionali oggi scomparse o non visibili ma ancora esi~tenti nel periodo d’imposizione del vincolo. questa planimetria sino al passaggio alle collezioni di palazzo Abatellis è sempre stata custodita gelosamente dalla sezione archeologica della Soprintendenza: proprio per l’attribuzione errata data al lago artificiale di Maredolce. Si deve a Guido Di Stefano la sua riscoperta e pubblicazione, tra l’altro, nel manuale dei Monumenti Normanni del 1955. A questa identificazione territoriale, derivata dalla cartografia originaria della fine del sec. XVIII, devono, oggi, essere aggiunte le parti del territorio adiacenti al fine di garantire l’integrità dei beni tutelati e quelle parti d’interesse architettonico, neolitico, paleontologico, geologico ed ambientale che allora non furono identificate sia per differente cultura sia perché non perfettamente conosciute. Si parla quindi della chiesa detta di san Ciro, dei depositi ossiferi del paleolitico, del complesso-nei versanti nord, est e sud delle grotte e grotticelle: comprese quelle trasformate in mitragliere durante l’ultimo periodo bellico, dei resti archeologici della prima fortificazione(sec. XI a difesa delle sorgenti o del lago, degli archi o “belvedere” erroneamente (sec: XX) identificati come archi delle sorgenti. Devono infine essere aggregati: la fascia coltivata ad agrumeti lungo il lato sud del circuito murario, il complesso del monte Grifone/Pizzo Sferrovecchio, il sedime della borgata della “pasciuta”. il circuito nord oggi attestato da un’edilizia sorta parzialmente sull’antico manufatto dell’argine in muratura. Dal punto di vista catastale il complesso è identificato nel Fg. 88 e nel Fg.87 del comune di Palermo. Nel fg.88 il lato sud è comprensivo (con inizio da via Conte Federico) delle particelle 3056, 3055, 2246,789, 564, 776, 775. Corrispondenti queste ultime tre con il limite del foglio 88 e con la via comunale Ciaculli. Il limite nord che andrebbe esteso come pertinenze sino alla via Giafar,comprende-iniziando da ovest almeno le particelle: 551, 1081,3507, 914,1830, 1507,1506,2065, 1505,2064, 3447, 2137,774,584,542 e le case di margine, dell’antica corte del palazzo: 773,772,515,514, 513 ed inoltre dovranno essere assoggettate ad un vincolo di pertinenza(ambientale) anche gli immobili e le aree di cui 1502, 913,544,1461, 1460,1459, in cui -come nelle precedenti-andranno verificati e riconosciuti i resti degli argini in muratura. Il limite sud/ovest di questa prima parte del complesso da tutelare è segnato dalla via ciaculli, oltre cui è il Fg.87, e dalle particelle: 3212, 562, 563 dal bacino di raccolta e dal canale demaniale della particella 554 e dalle particelle 929, 3497, 3523, 3322, 1826. Queste ultime particelle sono oggi sommerse da una discarica abusiva. Infine si ricorda che sino agli anni 50 nel bacino si allevavano le anguille. Occorre tenere presente che, in parte o in tutto, le particelle: 1100, 1081, 549,550,551, 3210, 3211,1235, 1236, 564, 775, 789, 3281, 3307, 3245, costituiscono il sedime dei piloni autostradali e, secondo una dichiarazione ANAS, sono state cedute al Comune di Palermo. L’area del palazzo e pertinenze con prospetto sulla via Giafar comprende la particella 542 (antichi argini) ed i fabbricati 513,514,515,772,773 che segnano il possibile limite della prima corte del palazzo già descritta in rovina nei disegni del Dufoumy; la corte è individuata nella 2500,2501,520,3490,517. Il limite nord con il laconico n°516, e 2500e 761 cui seguono le case costruite o ampliate sulla struttura della diga: 531,764, 765,766,767,768,769,770 (queste ultime nella risega indicano il limite della struttura normanna sottostante. 771; 532, 533, 534,535, 536, 537,5338,539. È da tenere presente che sotto la 534 è il canale di sovrappieno del lago (ex) e che la 1417 segna il sedime di un canale di diramazione. Il limite est può definirsi nella strada comunale conte Federico tenendo presente che il manufatto degli argini (in questo caso può essere definito diga)è compreso nelle particelle 1233, 1348, 1234, mentre l’edilizia sorta in adiacenza, ove legittima, deve essere vincolata per garantire un minimo di rispetto ambientale e monumentale in direzione sud: part. 1374, 1373, 1372,1478, 1487, 1489, 1493, 1492,3585,1579,1721,1752, 1746, 2727, 2775, 1748, 1749, 1758, 3043, 3042, 3041, via san Ciro/ , 3056. È Utile precisare, inoltre, il bacino-nella parte nord ovest è attraversato oltre che dal sedime autostradale anche dalla condotta di emissione dei serbatoi dell’acqua di Scillato corrispondenti alle particelle 567 e 568 ed al di là della via Giafar particella 2828. L’isola è compresa nelle particelle 1393, 1348, 1234 con due manufatti d’interesse architettonico: magazzino n°3319 e grande “gebbia” sul limite nord ovest part. 516. In prossimità di questa ma al livello del bacino è un ingrottato di una sorgente storica (part. 1393). Poco più oltre è una camera di emungimento sotto quota part.545 con il canale di emissione part. l232 il cui livello è più basso del naturale sedime del lago ed, in conseguenza in un periodo indeterminato fu abbassata la quota di scorrimento della cloaca di emissione raffigurata nel rilievo del Chenchi ed insistente nella particella n°534 Oltre la via comunale Ciaculli con il Fg. 87 s’innalza il monte Grifone con il naturale acrotero del Pizzo sferrovecchio alla cui sx. è il grande deposito idraulico (105) delle acque di Scillato del municipio di Palermo di pregevole architettura ottocentesca con i bacini all’interno della montagna. Bacini di straordinario interesse scientifico per l’ingegneria dell’ottocento. Questa porzione si identifica nella particelle 101, 105,106,57, 107,100,104,124,102,68,135; il complesso San Ciro, pizzo Sferrovecchio, Pasciuta si identifica nelle particelle 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,457,11,32456,98,89,122,121,A. Queste ultime tre corrispondono al complesso monumentale di san Ciro. Il limite nord/est del foglio 87 è costituito dalla sede stradale della via Ciaculli oggi abbandonata. Come precedentemente accennato il complesso sia per la parte da identificare compiutamente sia da vincolare “ex novo” unisce particolarità ed interessi di tipo naturalistico ed ambientale, idraulico, paleontologico, archeologico, architettonico, artistico, agricolo ed urbanistico in complesse stratificazioni segnate dall’evoluzione naturale e da quella umàna. Ognuna di queste nsezioni” sarà meglio specificata successivamente tenendo prese_nte che è solo il complesso delle articolazioni che dona un valore unico ed insostituibile al territorio oggetto di vincolo. Corollario non alienabile di questa proposta saranno i vincoli puntuali sui manufatti ,urbani agricoli e villerecci del territorio che si possono già caratterizzare almeno con le, seguenti tipologie:

  1. vie dell’acqua: mulini, lavatoi, trappeti dello zucchero
  2. strutture di difesa
  3. edilizia agricola
  4. edilizia storica di borgata
  5. edilizia villereccia con pertinenze agricole e ludiche
  6. edilizia religiosa e conventuale

In questo caso l’area territoriale da prendere in esame è almeno quella dell’antico complesso per come giunse alla Magione nel sec. XIV con il diploma di Manfredi Chiaramonte poi confermato da Federico di Sicilia. In forma sommaria può dirsi il territorio compreso da Gibilrossa al convento di santa Maria Gesù (compreso) sino alle rive dell’Oreto. Mentre il limite orientale era costituito da san Giovanni de’leprosi coi feudi dell’ Allegranza e Scillata. Dovrà in ogni caso tenersi presente per successivi sviluppi che faceva parte del complesso anche il feudo di Rebuttone descritto da belle tavole acquarellate sempre del Chenchi e sempre conservate nelle raccolte d1 p. Abatetellis.

Circolo L’istrice